Dalla “res publica” alla “res propria”: la crisi spirituale della modernità

Quante volte abbiamo sentito dire che “i giovani di oggi non sono più interessati alla politica”? Un’affermazione ripetuta ossessivamente, tra convegni, talk show o interviste, da pseudo sociologi e opinionisti improvvisati che si scervellano in cerca di verità oggettive e universali. Eppure, forse, è il quesito stesso ad essere mal posto. Rispedendo al mittente le sue verità generaliste e infondate, riformuliamo la domanda e spostiamo lo sguardo su un tema più ampio e complesso, interrogandoci sul perché la società nella sua interezza ha smarrito il proprio interesse per la politica.

Prima di proseguire, penso sia necessario chiarire cosa intendiamo con la parola “politica”. Rifiutando visioni utilitaristiche, tese ad inquadrare e ridurre la politica alla sterile rappresentanza democratica o alla visione caricaturale del “politico in carriera”, riproponiamo la visione, risalente all’antica Roma, di politica come sinonimo di “res publica”, ossia la “cosa pubblica”. Un concetto ben più ampio e completo, fondato sulla visione di politica come un bene comune al quale i cittadini, uniti da legami valoriali e consuetudinari, partecipano, offrendo singolarmente il proprio apporto che andrà ad inserirsi, come un puzzle, nel macro contesto di cui sono parte. Emerge dunque la visione di un cittadino, non catalogabile come membro separato e a sé stante, ma come parte attiva e “collaboratore” di un destino comune per il quale mette a disposizione le proprie competenze.

In questo senso, comprendiamo come la crisi della politica sia, prima di tutto, crisi dell’uomo. Nella società moderna, il Noi, personificato dalle istituzioni romane o dalla falange spartana, è stato sostituito dall’Io, isolato e interessato esclusivamente ai propri interessi, materiali e “finiti”. Questa disgregazione spirituale affonda le sue radici nell’Illuminismo, nella rivoluzione francese e nel materialismo positivista: tre momenti in cui la ragione e l’utile hanno soppiantato il sacro e il valore.

L’uomo moderno, figlio di queste rivoluzioni “artificiali”, non riconoscendosi più come parte di un contesto più ampio e organico, si configura come un semplice misuratore di interessi, un produttore e un consumatore di beni.

Giungiamo così alla conclusione che il disinteresse, e la conseguente scarsa partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, non è altro che la diretta conseguenza, tanto capitalista quanto comunista, del primato dell’economia sulla politica, della supremazia della materia “finita” sui valori spirituali “infiniti”. Negando tutto ciò che non è misurabile e visibile, il cittadino moderno sostituisce la “res publica” con la “res propria”. Non più artefice di un destino comune, ma banale promotore del proprio interesse, fondato su ciò che è utile o immediatamente gratificante. Ed è proprio in questo passaggio che si consuma la perdita del senso “infinito” del Noi, del sacro e della verticalità.

Comprendiamo dunque che alla base della ricostruzione di un rapporto diverso e più profondo tra il cittadino e la politica, intesa nel più ampio concetto di res publica, vi è necessariamente il bisogno di un cambio di approccio alla vita, in primis personale poi sociale e comunitario. Citando una celebre frase del libro Meditazione delle vette del filosofo Julius Evola, l’uomo moderno deve riappropriarsi della “vetta, al di sopra dei piatti orizzonti terreni”, riscoprendo il valore dell’infinito e dei valori spirituali, trascendenti e imperituri, che per secoli guidarono popoli e civiltà. L’uomo moderno è dunque chiamato a una rivolta dello spirito, non rifiutando il progresso, ma affrontandolo con spirito critico e conservando un atteggiamento interiore di ascesa.

La vera politica è quella che nasce dal risveglio della coscienza, dal rifiuto della “cosa propria” e dal ritorno alla “cosa pubblica”, intesa come comunità di destino, come unione di anime e non di interessi. Affinché l’uomo torni a interessarsi della politica, sentendosi parte attiva del processo, non si devono promuovere “quote” o inventare fenomeni sociologici giustificazionisti, ma si devono costruire comunità solidali, partecipative e organiche, promuovendo il risveglio delle coscienze e guardando al passato come monito per il futuro.

Offrendo come esempio il corpo umano, dove ciascun organo svolge la propria funzione nell’equilibrio dell’insieme, anche nella politica la salute dipende dalla cooperazione delle sue parti. Quando un elemento si ribella o pretende di bastare a sé stesso, l’organismo si ammala. “Non può l’occhio dire alla mano: non ho bisogno di te”, ammoniva San Paolo ai Corinzi: una verità che trascende la fede e tocca la radice stessa politica. Solo riaffermando la supremazia dello spirito sulla materia, della politica sull’economia e, pertanto, della res publica sulla res propria, l’uomo potrà tornare ad essere parte viva di un destino comune.

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