Tolkien, 50 anni senza “il Professore”

Cinquant’anni fa, il 2 settembre 1973, moriva nella città costiera di Bournemouth, nel Dorset, John Ronald Reuel Tolkien, autore de “Il Signore degli Anelli” che molti hanno scoperto grazie alla trilogia dei film di Peter Jackson. È stato fedele a un ideale estetico che lo ha portato a individuare nel mito la via privilegiata per osservare la realtà. 

Partecipò alla I guerra mondiale, ritornò ad Oxford dove fu insignito del “Master of Arts” nel 1919, e collaborò all’ “Oxford English Dictionary”. Insegnò lingua e letteratura anglosassone ad Oxford dal 1925 al 1945, e poi lingua e letteratura inglese fino al suo ritiro dall’attività didattica.
Grande appassionato lettore di saghe nordiche sin da bambino, Tolkien le trasformerà nell’oggetto della sua professione quando salirà in cattedra all’Università di Oxford.
Professore tanto serio e preciso nello studio quanto originale e anticonvenzionale nel metodo di insegnamento, l’inventore degli hobbit riusciva ad appassionare gli studenti valorizzando il contenuto dei testi affrontati, anche mettendosi a declamare come un istrione i versi del Beowulf come un menestrello medievale, un po’ come il famoso professor Keating impersonato da Robin Williams nell’Attimo fuggente.
Riusciva a rendere una materia noiosa e arida come la filologia, capace di far addormentare anche i più volenterosi studiosi di lingue antiche, un’epica travolgente, popolata di coraggiosi cavalieri che sconfiggevano draghi sputafuoco, dove gentili donzelle aspettavano di essere liberate dai loro volenterosi corteggiatori.

Lo studio della letteratura antica e medievale non era più un mero esercizio di anatomopatologia effettuato su testi morti ma era diventato un’appassionata ricerca di tutto quello che c’è di vivo, perché eterno, nei testi della tradizione.

Nel suo Discorso di commiato all’Università di Oxford, Tolkien disse con molta chiarezza quali erano i suoi principi, applicati tanto dal professore quanto dallo scrittore: «L’oggetto primario delle grandi scuole non è la cultura e il loro utilizzo accademico non è limitato all’educazione. Le loro radici stanno nel desiderio di conoscenza, e la loro vita è mantenuta da coloro che hanno una passione o una curiosità senza riferimento a scopi personali. Se questa passione e questa curiosità individuali vengono meno, la loro tradizione diviene sclerotica».

Invitava in molti suoi scritti a gustare in primo luogo i racconti per quello che sono, lasciandosi “commuovere” dalla potenza del mito, che resta “qualcosa di vivo nel suo insieme e in tutte le sue parti, e che muore prima di poter essere dissezionato”.
Tolkien fu prima di tutto un uomo profondamente fedele a un ideale estetico che lo ha portato a individuare nel mito la via poetica privilegiata per osservare la realtà in maniera più autentica e piena rimanendo perfettamente refrattario alle mode culturali e indifferente alle critiche mosse alle sue opere quando era ancora in vita.
Tutto ciò fa di Tolkien un sublime conoscitore dei pensieri che indagano l’animo umano.

In questi giorni si terrà a Oxford – dove Tolkien insegnò Inglese Antico al Pembroke College e poi Letteratura Inglese al Merton College – il convegno intitolato “Tolkien’s Words and Worlds”, un consueto gioco paronomastico amato da Tolkien che ben riassume due concetti fondamentali della riflessione tolkieniana: la potenza evocativa della parola e la chiamata dell’uomo a farsi creatore di mondi e di storie che li raccontino. Un connubio inscindibile che “il Professore” propose tanto nella prassi didattica e nei contributi critici – in cui la linguistica andava di pari passo con la letteratura, e l’analisi storica non sostituiva affatto quella stilistica – quanto, ovviamente, nelle sue creazioni letterarie.

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