Aou, ospedali sassaresi in sicurezza. Vincenti le strategie adottate nel tempo

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La prevalenza dei positivi negli operatori sanitari dell’Aou di Sassari è più bassa rispetto a quella registrata negli operatori sanitari in Italia. Lo dice lo studio realizzato dalla Sorveglianza sanitaria dell’Azienda di viale San Pietro che, dall’inizio dell’emergenza, ha sottoposto a test del tampone l’intera “popolazione” di medici e infermieri che lavorano negli ospedali dell’Aou. E così la prevalenza “sassarese” si attesta attorno al 3 per cento mentre quella registrata in Italia al 4,26 per cento.

«Possiamo dire – ha detto Antonello Serra, medico competente dell’Aou di Sassari che ha realizzato lo studio – che il numero ha un’efficacia che è imperturbabile a qualsiasi argomentazione. C’è da considerare, poi, che il dato nazionale, forse, è anche sottostimato perché, con molta probabilità, non tutti gli operatori sanitari hanno fatto il tampone. Noi invece lo abbiamo fatto a tutti».

«Quando il 14 di marzo è apparso un cluster particolarmente importante in una struttura centrale dell’ospedale – ha proseguito Antonello Serra –, ci siamo mossi rapidamente. Il cluster andava sterilizzato e gli operatori messi in sicurezza. Per intervenire ci siamo mossi usando il sistema dei cerchi concentrici. Nel giro di una notte e di un giorno abbiamo testato con tampone tutta l’area rossa e sterilizzato i soggetti potenzialmente infettivi».
La ricerca per cerchi concentrici è proseguita e ha permesso di individuare alcuni soggetti positivi oltre che registrare, man mano che ci si allontanava dal centro, una riduzione dell’incidenza. «L’ospedale è stato messo in sicurezza – ha aggiunto – e nel frattempo abbiamo seguito un’altra variabile importante: quella della messa in sicurezza dei pazienti. Non abbiamo lasciato alcun singolo paziente da solo e abbiamo adottato procedure severe che hanno garantito la loro assistenza costante. In seguito abbiamo rilevato un altro piccolo cluster e poi solo casi singoli, probabilmente in osmosi con la popolazione».

Il medico competente quindi ha sottolineato come abbiano funzionato le strategie di utilizzo delle protezioni individuali, utilizzati in ragione delle condizioni di rischio.

«Dopo l’esperienza del primo cluster – ha detto ancora –, abbiamo preso una decisione che non è stata adottata da quasi nessun ospedale italiano, cioè quella di fare il tampone a tutti gli operatori ospedalieri. Questo richiede uno sforzo strategico e organizzativo particolarmente rilevante. Noi abbiamo messo in gioco sei grandi strutture, tra le quali Otorinolaringoiatria, Chirurgia Maxillo-Facciale, Professioni Sanitarie, Direzione di Presidio, che hanno dato un apporto fondamentale in questa strategia, arrivando a fare il test a circa 120 persone al giorno».

Ma la strategia del tampone non è stata l’unica adottata dall’Aou. E così, dopo i dispositivi individuali, le corsie protette, l’isolamento dei reparti covid free, il follow up sugli operatori positivi, i tamponi “drive through” o “pit stop”, con il cambiamento della situazione epidemiologica l’Aou ha prima deciso di intervenire sui soggetti maggiormente a rischio, «quindi in quei soggetti con una riserva operativa molto ampia che abbiamo sperimentato in questi giorni e che siamo in grado di mettere in gioco. Ma abbiamo anche un’altra risorsa che abbiamo imparato ad utilizzare che è quella dei test sierologici che conosciamo giorno dopo giorno. Noi abbiamo fatto praticamente test sierologici a tutti e intendiamo utilizzare l’efficacia diagnostica di un test che verrà ripetuto diverse volte», ha concluso Antonello Serra.

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